Una panchina che scotta: Il bienno di Luis

I tormenti di Carniglia

Pieno di bollori e di slanci passionali, il tecnico argentino passò il tempo a cercare l'erede di Di Stefano:fu deluso da "Piedone", credette di averlo trovato in Angelillo. Roma "spalla "delle grandi

Non c'è contraddizione tra il comportamento della squadra in campionato e la vittoria in Coppa Fiere. La Roma non faceva scintille ma non era certo alla mercè degli altri: sarebbe arrivata quinta. Era lunatica, imprevedibile; capace di grandi imprese e di improvvise cadute: una signora vissuta che indugiava a seguire il ricordo di età perdute e di splendori spenti (è chiaro il riferimento a Schiaffino). Per esempio il derby: la Roma che aveva vinto in modo trionfale quello di andata (4-0), perse malamente quello di ritorno, contro una Lazio che aveva ormai un piede nella fossa (della serie B). Le malevoglie romaniste erano invece la fonte di velenose accuse che la parte ne mica rivolgeva a Pedro Manfredini. Dicevano che era lui a provocare, con le sue prestazioni sempre disuguali, gli scompensi di rendimento generale. Fu ragionando su questa base che si arrivò ad un episodio che ricordava la famosa esclusione di Bernardini
perchè -spiegò il c. t, Pozzo era troppo bravo rispetto agli altri. Assunta la guida tecnica della Roma, Luis Camiglia manifestò subito una acida avversione nei confronti di Pedro. E un giorno tentò di spiegargliene la ragione: «La tua straordinaria rapidità rompe tutti gli equilibri di gioco, e finisce per danneggiare la squadra». Questa corte dei miracoli era la Roma 1960. Se non avessimo svelato i segreti di palazzo, e raccontato tutti i personaggi, non avremmo capito dieci anni di convulsa storia romanista.

Uno strano match

Che fosse arrivato Luis Camiglia, con i suoi bollori temperamentali, i suoi slanci passionali, le sue febbri emotive, se ne accorse l'intero stadio Olimpico, la sera del 12 ottobre 1961, nella finale di ritorno con il Birmingham per la Coppa delle Fiere. Gli inglesi, che in casa avevano pareggiato (2-2, ma la Roma conduceva per 2-0!) si trovarono ben presto a dover recuperare un autogol del terzino Farmer. Ormai la Coppa era compromessa, e nell'ansia agonistica cominciarono a picchiare di brutto. Luis (Carniglia) il fumantino, abbozzò per un po', poi scattò dalla sua panchina e si piazzò davanti al suo collega Merrick, allenatore del Birmingham: «O tu dici ai tuoi di smettere, o io ti prendo a pugni qui, davanti a tutti. Se ci deve essere pugilato, battiamoci noi due, ma i ragazzi lasciamoli giocare». Luis Carniglia era stato un giocatore di notevole livello tecnico, di temperamento sanguigno, di assoluta chiarezza di comportamenti. Diceva quello che c'era da dire, mancava totalmente di senso opportunistico. Aveva pochi amici fedeli, era assediato da uno sterminato esercito di nemici. Come allenatore, era stato...rovinato dal grandeAlfredo Di Stefano, che Carniglia aveva avuto nel Real Madrid. Perchè Di Stefano gli aveva permesso la realizzazione di tutto un maestoso disegno tattico, che Car niglia tentò di poi riprodurre altrove: e come Diogene che cercava l'uomo- Luis continuò a cercare il giocatore giusto, il suo uomo: l'erede di Di Stefano che non poteva esistere, perchè sono in molti a dire che Di Stefano è stato superiore anche a Pelè.

Gli uomini di Luis

A Roma, Carniglia credette di poterlo trovare in Antonio Valentin Angelillo. La grande novità della sua Roma, nel 1961/62, fu proprio l'arrivo di Angelillo, insieme a quello del centrocampista Carpanesi. Intanto, nel febbraio di quell'anno a Udine, aveva esordito un ragazzo non ancora diciottenne, Giancarlo De Sisti, e Carniglia decise di tenerio d'occhio. Angelillo, dal canto suo, era sempre più innamorato e distratto: aveva dovuto lasciare l'Inter proprio per questa ragione, perchè la sua relazione sentimentale era stata giudicata censurabile sotto il profilo morale: in bigottismo faceva ancora molte vittime. Il buon Valentino, ragazzo timorato di Dio, riusciva in questa situazione a spaventare se stesso, con le sue trasgressioni: era «cottO» e stordito, non ci capiva più niente. Per quanto fosse un fuoriclasse ancora giovane, nella piena estate della sua vita, AngeIillo non riuscì dunque a soddisfare le esigenze di Carniglia, che nella sua ininterrotta ricerca aveva incontrato un altro personaggio straordinario, che però era esattamente il contrario del suo ideale: Pedro Manfredini. Luis ebbe una smorfia di raccapriccio, e intuì subito il trabocchetto: Pedro non possedeva le stimmate del suo giocatore ideale, però faceva i gol, quindi doveva sopportarlo. Furono questi gli elementi caratterizzanti della conduzione tecnica di Carniglia: la fallita riscoperta di Angelillo, la fallita defenestrazione di Manfredini.
Ne scaturì un conflitto lacerante: Manfredini, ragazzo complicato, sbandò peggio dell'Angelillo in fregola amorosa. Il popolo romanista tumultuava.
Anche Lojacono inseguiva l'amore, ma in modo meno romantico di quello di Angelillo e senza perdere la testa e la forma. Poi c'era un'ombra che vagava sottile e delicata: era quella di Schiaffino che dolcemente sopravviveva. Avrebbe giocato solo dieci partite: poi sarebbe entrato nella sua galleria della fama, cioè nei ricordi. Fu per questa ragione che anche il regno di Carniglia durò poco più di una stagione, senza smuovere le acque della classifica. La Roma restava quella che era: una eccellente «spalla» delle grandi, era la prima tra le seconde. Indovinate un po' chi subentrò a Carniglia? Esattamente l'uomo che Carniglia aveva sostituito, vale a dire quel galantuomo di Alfredo Foni. Che però sarebbe riuscito a fare solo due mezzi campionati. Poi venne un altro spagnolo, Luis Mirò, di cui nessuno aveva mai sentito parlare, e durò quanto un fiore reciso. La corte dei miracoli era animata da accese fantasie perverse. Alla fine scaturì l'idea sublime: bisognava rubare il mago Juan Carlos Lorenzo alla Lazio. Intanto era cominciato il malinconico regno del conte Marini Dettina, che poteva guardare alla Roma con un occhio soltanto: con l'altro doveva spiare le mosse sospette dell' on. Franco Evangelisti.

Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport

 

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